• «Non mi importa se passeremo alla storia come barbari» non solo rappresenta la piena maturità artistica di Radu Jude, ma è anche uno dei più grandi film del XXI Secolo...
  • Il film di Peter Watkins è la risposta cinematografica alla trappola della "monoforma", prestandosi ad essere uno dei film-manifesto più rivoluzionari della storia del cinema...
  • Cosa è più importante? La vita o le idee? Il corpo o l'anima? Il visibile o l'invisibile? Questo è quello che si chiede insistentemente la regista sovietica per gran parte della durata dell'opera...
  • È d'obbligo la sua visione prima di scomparire da questo mondo, ma soprattutto prima di continuare a leggere questo blog che porta con tanto onore il suo nome.

martedì 14 marzo 2023

Superstar: The Karen Carpenter Story (1987)

Questo è un film maledetto. Ritirato dalla distribuzione nel 1990 quando il musicista Richard Carpenter fece causa al regista Todd Haynes per violazione di copyright, il film da allora è diventato un bootleg diffuso su internet, diventando oggetto di culto. È un documentario sperimentale di 43 minuti che racconta la vita di Karen Carpenter, sorella di Richard Carpenter con la quale formò il duetto musicale The Carpenters che divenne celebre nell'industria musicale americana degli anni '70 e '80, la loro musica dolce e soft si contrapponeva al sentimento di rivolta caratteristici di quegli anni, per questa ragione molti americani ritrovarono in loro una certa fede e nostalgia dei valori tradizionali. Il loro successo fu così eclatante che il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon li invitò persino ad esibirsi alla Casa Bianca nel 1973. Ma la giovane Karen ha sofferto di anoressia nervosa per gran parte della sua vita e morì prematuramente di arresto cardiaco nel 1983, nella casa dei suoi genitori. La causa della morte si sospetta fosse legata all'abuso di alcuni farmaci che Karen faceva, in particolare l'Emetina, un induttore di vomito. 
Haynes decide di rappresentare questa tragica storia nel modo più scomodo possibile e immaginabile: le fashion dolls. Barbie, che inserisce nel set fabbricato a loro misura e che anima attraverso il doppiaggio, in alcune scene come i primissimi piani rompe qualche volta questa cifra stilistica inserendo braccia e mani di attori veri, inizialmente crea un'effetto straniante, ma man mano che la storia si sviluppa lo "noteremo" sempre meno. Questo perché sotto la superficie di quell'estetica plastica viene costruita una forte esperienza interiore, se da un lato le barbie rappresentano degli standard o, permettetemi, un regime di bellezza ben preciso, dall'altro nel film mostra, in maniera paradossale, come dietro quei corpi ci possa essere molto di più. Il film non si limita a mostrare scene della vita famigliare e professionale di Karen, ma inserisce anche stralci di cinegiornali sull'anoressia ed interviste fatte a diverse persone sulla musica dei The Carpenters. Il carattere sperimentale del film diventa predominante quando nel montaggio vengono inserite improvvisamente delle strane immagini inquietanti come quella della bambola di Karen che viene sculacciata (come a rimarcare qualcosa del suo passato che non conosceremo mai) o il filmato terrificante del cadavere di una donna gettato in una fossa comune, un estratto da un documentario sui campi di concentramento nazisti. Quest'ultima immagine molto evocativa, in seguito, sembra essere in stretta relazione ad una riflessione fatta a posteriori nel film, in cui si parla dell'anoressia come una forma di fascismo, un totalitarismo sul proprio corpo «in cui il malato recita la parte sia del dittatore che della vittima emaciata a cui spesso assomiglia. In una cultura che continua a controllare le donne attraverso la mercificazione dei loro corpi, il corpo anoressico si autoesclude, rifiutando le dottrine della femminilità, spinto da una visione di totale padronanza e controllo.» E da dove vengono queste dottrine della femminilità? Chiaramente da un sistema che espone i loro corpi e li mercifica, come quello dello spettacolo, intensificando queste problematiche in maniera disumana. "Superstar" appare oggi un'opera più contemporanea che mai, anche a monte del panorama cinematografico attuale dove ormai è divenuta abitudine diffusa produrre film e documentari "scomodi" su varie celebrità femminili (Blonde e Farming Britney Spears, per citarne due più recenti), Haynes lo fece già più di 30 anni fa e con un'originalità senza pari.


La buona notizia è che il film pare sia stato "sbloccato" e che un'edizione restaurata uscirà prossimamente. Nell'attesa potete recuperarlo su questo link e scaricare qui i sottotitoli in italiano curati dal sottoscritto. Buona visione!

venerdì 10 febbraio 2023

Time of Darkness and Silence (1982)

Titolo originale: Zeit des Schweigens und der Dunkelheit. Questo è un documentario di un'importanza storica inestimabile. Dal 1982 fino ad oggi è rimasto chiuso segretamente negli archivi dell'emittente televisiva tedesca WDR (Westdeutscher Rundfunk Köln), perché la regista Nina Gladitz si è rifiutata di eliminare una scena dopo la sentenza del Tribunale regionale superiore di Karlsruhe del 1987, ma qualcuno misteriosamente l'ha pubblicato su Youtube, circa dieci mesi fa, dopo appena un anno dalla morte della regista. Il documentario attraverso la collaborazione principale di Josef Reinhardt, un rom sopravvissuto all'Olocausto, racconta la genesi del lungometraggio "Tiefland" diretto da Leni Riefenstahl nel 1941 (distribuito solo nel 1954) e di tutte le persone di etnia rom e sinti che furono selezionate dal campo di concentramento di Salisburgo-Maxglan per essere utilizzate come comparse nel suo film. Apprendiamo che fine delle riprese non solo nessuna di quelle persone fu retribuita, ma il lato più agghiacciante è che molti di loro, compreso quasi tutti i bambini, furono deportati e uccisi nelle camere a gas di Auschwitz. D'altro canto Leni Riefenstahl ha sempre sostenuto che il campo di Salisburgo-Maxglan fosse solo un campo "assistenziale" e che all'epoca non fosse a conoscenza di tutte le storie su Auschwitz, ha anche dichiarato che se si fosse ritenuta in parte responsabile della morte di quelle persone si sarebbe suicidata. Ma ai fatti, oggi, è stato storicamente accertato che il campo di Salisburgo-Maxglan fu a tutti gli effetti un campo di concentramento e che quindi i rom e i sinti, compreso tutti i bambini, furono imprigionati lì per motivi razziali. L'aspetto più controverso di questa storia e non ancora accettato ufficialmente, è che tutti i testimoni sopravvissuti sono concordi sul fatto che Leni sapesse di Auschwitz e che addirittura diede la falsa promessa che li avrebbe aiutati a fuggire, cosa che non rispettò mai una volta terminato il suo film. Nel documentario una donna parla anche che "zia Leni" (come si faceva chiamare dai bambini), aveva promesso a sua figlia che l'avrebbe portata a Berlino per aiutarla a diventare una cantante. Ma ovviamente neanche questo si realizzò; i rom sono giunti alla conclusione che Leni li abbia solo usati perché sapeva che avrebbe potuto non pagarli a causa della condizione sfavorevole in cui si trovavano.
Leni Riefenstahl in un'intervista al Frankfurter Rundschau del 27 aprile 2002, sostenne: «Abbiamo rivisto tutti gli zingari che hanno lavorato nelle pianure dopo la fine della guerra. A nessuno è successo niente.» Dopo queste dichiarazioni l'associazione interculturale Rom e V. avviò una causa contro di lei per denigrazione della memoria dei defunti e negazionismo dell'Olocausto, che purtroppo fu interrotta per mancanza di interesse pubblico, poi Leni un anno dopo morì e la questione fu definitivamente sepolta.
Il documentario della Gladitz dura appena un'ora ma è denso di significato, con i suoi testimoni fa emergere nella pellicola ferite mai rimarginate e che continuano a sanguinare nella nostra storia contemporanea, questo è proprio il tempo delle tenebre e del silenzio, il tempo dove l'inimmaginabile sfugge alla nostra memoria. Il vero orrore, non ci ha ancora raggiunto come citano nel finale le potenti parole dello scrittore Max Frisch. Ma fintanto esisteranno registe come Nina Gladitz che non cedono ai compromessi e che sono disposte a bloccare la distribuzione della propria opera piuttosto che eliminare una singola scena al fine di preservare la verità dei testimoni, allora c'è ancora speranza per l'umanità e il cinema stesso.

(Leni Riefenstahl ebbe rapporti stretti di amicizia con Adolf Hitler e fu autrice dei più importanti film di propaganda nazista)

Il documentario è disponibile, come già detto, qui su Youtube e anche qui su Archive.org. Sono felice di comunicarvi che ho curato la traduzione dei sottotitoli in italiano, che potete scaricare qui. Buona visione!

giovedì 26 gennaio 2023

Swastika (1973)

«Se Hitler è disumanizzato e mostrato solo come un diavolo, qualsiasi futuro Hitler potrebbe non essere riconosciuto, semplicemente perché è un essere umano». Queste parole del regista appaiono nei titoli di testa come un'avvertimento: tutto ciò che vedremo non è una banalizzazione o una glorificazione del nazismo ma piuttosto una riflessione sulla società tedesca e il suo rapporto con esso. Susseguiranno immagini di cinegiornali, documentari, film di propaganda e persino filmati amatoriali girati da Eva Braun, compagna di Hitler, che mostrano la loro tranquilla vita famigliare tra feste e salotti. Il materiale è finemente montato senza un narratore lasciando che siano le sole immagini a parlare e con l'aggiunta di effetti sonori e una colonna sonora che accompagnano coerentemente la vitalità e la speranza di una Germania che stava emergendo dalla Grande Depressione e che riponeva ciecamente tutta la sua fiducia al nuovo baffuto leader. Durante questa fermentazione culturale, già le immagini delle masse di persone entusiaste che sbandierano solo e soltanto svastiche per tutte le ricorrenze (persino al posto della stella su un albero di Natale) inquietano per la loro uniformità imponente, uno spettacolo così grottesco e surreale che si fa a fatica a credere che dietro quelle masse ci siano ancora individui. Lo stesso Hitler sembra essere in netto contrasto con tutto ciò, lo guardiamo quasi sempre più isolato a vivere la sua vita mondana. Ben presto le immagini famigliari e giocose di Hitler con i bambini si alternano alle violenze del suo popolo perpetrate ad altri bambini che non godono dello stesso privilegio sociale, poi si susseguono quelle dei primi negozi ebrei attaccati dai nazisti ed infine come una cesoia nel montaggio veniamo catapultati tra i resti delle masse dei cadaveri dell'Olocausto. L'effetto è straniante e terrificante. Philippe Mora, a soli 23 anni, produce uno dei film più controversi e potenti sul nazismo, sollevando questioni importanti sul problema della manipolazione delle immagini e della propaganda e non meno sulla natura del male, una forma di documentario che sicuramente ha fatto da lezione al recente lavoro del regista ucraino Sergei Loznitsa. Alla sua anteprima al Festival di Cannes del 1973 il documentario non fu capito e suscitò indignazione da gran parte del pubblico e della comunità ebraica che lo etichettò come filo-nazista, qualcuno lanciò persino una sedia contro lo schermo durante la proiezione! Dopo le polemiche il film fu proibito in diversi Paesi e soltanto nel 2010 è stato liberato dal divieto in Germania.


«Mostrando la vita quotidiana dei tedeschi e di Hitler - le feste di famiglia, gli eventi pubblici, le semplici routine - questo film ha l'effetto cumulativo di rivelare una società che è impazzita. [...] È una lezione su come l'immoralità possa assumere le sembianze della vita quotidiana. Vedi cose come piccole svastiche appese agli alberi di Natale e tutti che si godono le vacanze, e sei quasi sbalordito dal filmato. [... ] Ci sono alcuni momenti davvero incredibili, come quando Hitler accarezza il suo cane e il cane rabbrividisce. . . O quando vedi questi strani aggeggi, queste ruote con la svastica che la gente dava fuoco e rotolava giù per le colline come parte delle celebrazioni. [... ] Chiude tutto con le scene delle vittime (dei campi di concentramento) che vengono demolite con i bulldozer in tombe aperte. Questi due o tre momenti orribili sono il suo ultimo commento sulla società tedesca.»
(Programmatore cinematografico per gli Archivi Nazionali di Washington)

Il film può essere visionato in streaming su Youtube.

venerdì 13 gennaio 2023

This Is Going to Hurt (2022)

Miniserie televisiva co-prodotta dalla BCC e dalla AMC, scritta da Adam Kay e basata sul suo omonimo libro pubblicato nel 2017, una raccolta di diari che scrisse durante la sua formazione medica dal 2004 al 2010 presso il Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito. La serie è ambientata nella Londra del 2006 ed esplora principalmente le vite dei due giovani dottori che lavorano duramente nel reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale pubblico, per l'appunto quella di Adam Kay interpretato da Ben Whishaw e quella della collega Shruti Acharya interpretata da Ambika Mod. La serie è divisa in sette episodi, i primi episodi ci introducono con toni umoristici nella caotica vita dei giovani medici che cominciano ad ambientarsi ed apprendere famigliarità con la pratica della professione, questo aspetto è uno dei punti forti della serie perché rende lo spettatore particolarmente partecipe allo svilupparsi degli eventi. Ma ben presto l'umorismo comincia a trasformarsi in sarcasmo e dramma: i colleghi più esperti non supportano i principianti rendendo più difficile il fluire del lavoro, il numero di richieste di soccorso è così elevato e incessante che il personale medico non riesce a farsene carico adeguatamente e a causa dei pochi dottori disponibili i più giovani sono costretti a fare turni extra. Non ci sorprendono quindi gli incidenti di percorso, Adam infatti commette un errore diagnostico mettendo in pericolo la vita di una donna e un bambino nato prematuro, un evento traumatico che lo segna profondamente. Anche la vita della giovane Shruti viene sottoposta a ritmi umanamente insostenibili, tra il duro lavoro ospedaliero e lo studio per la preparazione degli esami non riesce a trovare un attimo di riposo, un carico emotivo che graverà pesantemente sulla sua salute mentale.
I registi Lucy Forbes e Tom Kingsley non ci risparmiano le immagini sanguinolente dei parti gemellari, cesari e operazioni salva-vita all'ultimo secondo, immergendoci completamente nell'ambientazione ospedaliera, qualche volta utilizzano l'espediente della rottura della "quarta parete" creando una vicinanza tra i due protagonisti e gli spettatori, un'operazione rischiosa ma che alla fine riesce a trovare una sua giustificazione nel carattere di denuncia che diventa sempre più diretta nel finale. La serie attraverso l'omosessualità del suo protagonista, ci offre anche una travagliata relazione sentimentale che qualche volta aggiunge anche un pò di senso di humor alle vicende.
Alla fine dei conti "This Is Going to Hurt" fa davvero male, nonostante la sua apparente leggerezza scuote davvero le coscienze e anche solo per questo va vista. Memorabile è l'interpretazione di Ben Whishaw.


La serie è disponibile in streaming su Disney+.

sabato 31 dicembre 2022

L'amour violé (1978)

Non può sorprendere che il nome Yannick Bellon venga citato da Céline Sciamma tra le sue registe preferite in una recente intervista contenuta nel libro "Architetture del desiderio" (a cura di Federica Fabbiani e Chiara Zanini, pubblicato nel 2021). Yannick Bellon è stata una montatrice, regista e sceneggiatrice francese che attraverso i suoi film ha esplorato diverse problematiche della società patriarcale in particolare quelle legale alle donne, offrendo delle importanti intuizioni femministe. Inizialmente dedicò la sua attività ai documentari e solo nel 1972, quando fondò la sua società di produzione Les Films de l'Équinoxe, diresse il suo primo lungometraggio di finzione "Quelque part quelqu'un", ispirato alla sua relazione con il poeta Henry Magnan. Ma il suo film più noto e che ha fatto più scalpore è "L'amour violé" girato nel 1978 e ambientato a Grenoble. Racconta di Nicole, una giovane infermiera (interpretata da Nathalie Nell) che durante un'uscita in bicicletta nel pomeriggio, viene aggredita verbalmente da due uomini in un furgone e successivamente rapita per essere brutalmente stuprata tutta la notte dal loro gruppo di amici. Un film crudo e sconvolgente non solo per la scena citata, ma per la rappresentazione della violenza, mai gratuita, autentica, rigorosa, dettagliata, in netto contrasto con l'apparente tranquillità della cittadina e dei bellissimi paesaggi che fanno da sfondo. Ben presto scopriremo che gli uomini responsabili del'efferato gesto sono operai, lavoratori, commercianti, comuni cittadini con mogli e figli, senza precedenti penali. La Bellon arriva dritto al punto: lo stupro non può essere visto solo nella sua occasionalità e singolarità, ma anche nella sua ritualità. I quattro uomini avevano un posto riservato, erano perfettamente lucidi durante l'atto e non dimostravano alcuna empatia per la vittima. E a quest'ultimo proposito, la società non ne dimostrerà altrettanto: ridimensionerà l'evento, nel peggiore dei casi lo naturalizzerà (come fa la madre) o rifiuterà del tutto (come inizialmente farà il suo fidanzato), scoraggiando Nicole a denunciare i suoi abusanti, rivelando così il disegno più grande di un ingranaggio perverso radicato nella stessa società. Ma la protagonista nonostante subisca questi gravi risvolti psicologici e sociali, lotterà per la giustizia finendo per rappresentare la liberazione di tutte le donne. «Se attraverso le mie opere concludi che l'ingiustizia mi ripugna e la dignità mi sembra la virtù più importante, tanto meglio» dichiara Yannick Bellon. La regia si fa promotrice di questa lotta senza mai risultare pedagogica, persino la scena dei disegni dei bambini dell'asilo - chiara eredità dell'approccio documentaristico della Bellon - si incastra come un inquietate interrogativo sulla passività del ruolo della donna nella società. Pochi i primi piani, ma di rara intensità, come lo scambio finale di sguardi tra Nicole e il suo fidanzato. Una pietra miliare del cinema femminista, mi permetto di aggiungere, anche degna di essere accanto alle opere migliori di Chantal Akerman.

Yannick Bellon intende scioccare, risvegliare senza tante cerimonie le coscienze assopite, provocare l'opinione pubblica e, una volta dato l'allarme, esaminare metodicamente le parti di un dossier che vuole approfondire. L'amour violé sarà un film utile, capace di accendere subito il dibattito, un'arma nella lotta per l'indipendenza femminile e contro i valori sessisti della società in cui viviamo. 


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