venerdì 8 marzo 2024

Femina (1991)

Quinto lungometraggio per il cinema di Piotr Szulkin, girato dopo la sua nota tetralogia fantascientifica, è basato sul romanzo "Il padiglione dei piccoli predatori" (Pawilon małych drapieżców, 1988) scritto dalla femminista Krystyna Kofta, che ha collaborato anche alla stesura della sceneggiatura. La protagonista del film è Bogna, interpretata da Bogna Wegner, una giovane donna trentenne che rimane sola a casa con suo figlio dopo che il marito è partito in viaggio per lavoro. Un giorno riceve per telefono la notizia che sua madre è morta, così intraprende un viaggio nella sua città natale per organizzare il funerale, mentre i ricordi della sua infanzia infelice le ritornano in mente. Scopriamo che Bogna è cresciuta con una madre dominante e severa, molto devota al cristianesimo, di fatti il suo stesso nome di battesimo è una dedica a Dio (in lingua slava "bog" significa "dio" e il "-na" è un suffisso femminile). Ma la sua infanzia è stata anche segnata dal comunismo e dal culto di personalità, in uno dei flashback vedremo la piccola Bogna costretta in ginocchio dalla madre a cantare un inno sovietico, e in altri in preda ad un incubo ricorrente dove lo spettro di Joseph Stalin le fa visita sul suo letto per possederla. Bogna approfitta dell'assenza del marito e della morte della madre per abbandonarsi a delle avventure sessuali, sradicandosi da tutti quei dogmi e quelle inibizioni che hanno formato la sua educazione. Come la "Bella di giorno" di Luis Buñuel sperimenta anche la prostituzione, ma lo sguardo di Szulkin non è altrettanto oscuro, la sessualità di Bogna è uno strumento di liberazione e anche le scene più irrequiete, come quella dove fa sesso con un malato di mente, si risolvono con una catarsi. Questo perché Szulkin attraverso il passato della protagonista costruisce anche una lettura politica, quella della fine del totalitarismo socialista della Repubblica Popolare di Polonia e l'inizio del liberalismo. Un nuovo respiro che Bogna è pronta ad accogliere per quanto amare possano essere le conseguenze, sua madre le diceva «la curiosità è il primo passo verso l'inferno», ma lei fa di quella curiosità, ora espressa dall'antiproibizionismo, uno strumento di esperienza e formazione.
La fotografia, curata da Dariusz Kuc, adotta un obiettivo a lunghezza focale corta nelle sequenze dei flashback, provocando un allungamento e ingigantimento degli spazi, proprio come se vedessimo attraverso gli occhi di Bogna da bambina. Alcune immagini più che dei flashback sono delle vere e proprie allegorie dell'interiorità della protagonista, come la poetica scena di un paesaggio agreste dove Bogna bacia un bambino, quello che sarà il suo futuro marito, e insieme si dirigono verso la collina guidati da una candida luce all'orizzonte. Scena che si ripete nel finale, ma Bogna e suo marito sono adulti e in compagnia del loro figlio, il paesaggio è cosparso da una suggestiva nebbia ed è abitato da pecore, potrebbe rappresentare simbolicamente Arcadia, il luogo mitico dove l'uomo vive in pace e armonia con la natura. "Femina" è il film più ostico del regista, non ha raccolto buoni consensi da parte del pubblico e della critica, eppure è uno dei suoi migliori perché al di là degli ingranaggi narrativi spesso criptici e sfuggenti, ha delle immagini di grande potenza evocativa che si imprimono nella mente. 
Il film trabocca di grandi brani di musica classica, ci sono Mozart, Tchaikovsky e Wagner che commentano musicalmente le immagini come se fossero dei veri sottotesti.


«Nell'ironico Femina (1991), film ricco di simboli, Piotr Szulkin si fa beffe della vacuità dei rituali politici e religiosi polacchi. Sfata l'aspetto rituale della cultura polacca e il suo carattere martirologico. La protagonista (Hanna Dunowska) è combattuta tra cattolicesimo e ideologia comunista: flashback onirici pieni di immagini bizzarre rivelano l'oppressione della sua infanzia. L'immagine che riappare nel film è quella di Stalin appeso a un lampadario. Questo trattamento del totalitarismo è nuovo nelle opere di Szulkin. I suoi primi film di fantascienza antitotalitari utilizzavano messaggi politici appena nascosti, facilmente decifrabili dal suo pubblico.»

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