Quinto lungometraggio di Olivier Assayas, dal sito di "Sentieri Selvaggi" si può apprendere che il film originariamente fu concepito come un episodio di una serie televisiva collettiva chiamata "Tous les garçons et les filles de leur age", l'episodio in questione si sarebbe dovuto intitolare "La page blanche", ma successivamente fu integrato di nuovi inserti e così distribuito nelle sale cinematografiche con il nome "L'eau froide", che oggi tutti conosciamo. È una riuscita e dignitosa rappresentazione dei turbamenti emotivi che caratterizzano l'età adolescenziale e l'inevitabile conflitto con l'Istituzione scolastica, la Legge e il nucleo famigliare, quest'ultimo davvero incapace di comprendere la natura dei sentimenti aggressivi dei loro figli, malgrado sia proprio responsabile di quella stessa società autoritaria, apatica e repressiva che incombe fuori le mura di casa. Seguiamo così le vicende di Christine, una giovane adolescente introversa continuamente sballottata dai suoi genitori divorziati che tentano di ottenere la sua custodia più per dispetto reciproco che per un reale interesse del benessere della figlia. Gilles invece è figlio di una famiglia borghese, la sua insofferenza verso le regole lo porterà a commettere piccoli furti e ad avere uno scarso rendimento scolastico (con tanto di sospensioni), é follemente innamorato di Christine ma per il colpa del suo comportamento irresponsabile finirà per metterla nei guai: un giorno in un supermercato si troverà con lei e tenterà di rubare dei vinili, ma all'uscita verranno scoperti. Gills riuscirà a fuggire dalle guardie di sicurezza, mentre Christine verrà catturata. Questo evento spingerà il padre di Christine a rinchiuderla in una clinica psichiatrica, con l'ingenua convenzione di liberarla dalle "influenze negative" della madre. Assayas segue in maniera ravvicinata i corpi dei suoi personaggi, restituendoci con la macchina a spalla la caoticità e la naturalezza degli eventi. Di incredibile impatto è la lunga parte centrale dedicata alla festa dei ragazzi, dove si rifugerà Christine una volta scappata dalla clinica. Si nota immediatamente un cambio di regia: le scene sono caratterizzate da lunghi pianosequenza - spesso in moto orizzontale, da destra a sinistra - che seguono la giovane protagonista e gli altri ragazzi mentre vivono momenti di dolore, solitudine, conflitti, violenza, riappacificazioni, fumo e sballo. Tutto è in un continuo e incessante divenire, mentre le canzoni di Janis Joplin, Donovan, Alice Cooper e Bob Dylan accompagnano i momenti "come se fossero pezzi di sceneggiatura" (Olivier Assays). La frenesia del flusso filmico si assesterà e poserà dolcemente sul ballo tra Christine e Gills, sotto le note dalla cupa e profonda "Avalanche" di Leonard Cohen. E le immagini è come se improvvisamente prendessero vita, una nuova forma, luce, che prima non c'era, é nello sguardo e nel sorriso di Christine. É la forza rigeneratrice dell'amore. Non resterà che la voglia di ricostruire il proprio mondo e la fuga da quello che ha tradito i nostri sogni, così Gills e Christine partiranno insieme per una meta incerta, per costruire una vita insieme. Ma le fughe sono estremamente difficili quando si è ancora adolescenti, sopratutto quando raccontiamo bugie a noi stessi per alimentare un'utopia. Non resterà che scontrarsi con la dura realtà nel bel mezzo del nulla, smarriti tra le acque di un fiume che spezza il paesaggio, un'interruzione simbolica. Un momento di esitazione, di riflessione che si trasforma in un foglio bianco, una lettera senza inchiostro di Christine lasciata a Gills, perché è troppo difficile e doloroso riscrivere la propria storia senza in mano una certezza. Il brusco finale di "L'eau froide" è inaccettabile, perché è quanto di più vero e duro da accettare. Oliver Assayas con una naturalezza che ricorda il cinema di François Truffaut e uno sguardo contemplativo che ha qualche eco in Šarūnas Bartas, filma un'opera cupa ma viva, fresca, memorabile.
sabato 10 ottobre 2020
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