giovedì 20 novembre 2025

Mr Nobody Against Putin (2025)

Nel 2022, con l’invasione su larga scala dell’Ucraina, qualcosa si incrina definitivamente nelle scuole russe. Il sistema educativo viene rimodellato dal Cremlino, trasformato in un prolungamento della mobilitazione militare, e le aule diventano uno degli strumenti più aggressivi della propaganda, pensata per militarizzare il paese e preparare soldati fin dall’infanzia. È dentro questo nuovo scenario educativo che si inserisce Mr Nobody Against Putin, un documentario schietto, provocatorio e toccante, la cui forza è nel suo protagonista Pavel “Pasha” Talankin, un insegnante e videomaker di una piccola città, non un eroe ma un uomo che si osserva, consapevole della propria paura e tuttavia deciso a continuare a testimoniare l'inquietante metamorfosi scolastica. La telecamera diventa difesa e confessione, il modo più onesto per restare fedele a se stesso, anche quando lo espone al rischio. Attraversa aule, corridoi, saggi scolastici e parate, mentre da una dichiarazione filmata di Putin emerge una frase destinata a riassumerne la nuova logica pedagogica: “Non si vince la guerra, si insegna a vincere”, formula che funzionari e insegnanti adottano senza mai metterla in discussione. La scuola diventa un laboratorio di patriottismo militare, in cui soldati e istruttori entrano nelle classi, mettono in mano ai ragazzi armi e granate, organizzano esercitazioni e competizioni. Molte di quelle armi arrivano dalla seconda guerra mondiale, offerte come reliquie da toccare e imitare, mentre la familiarità con la guerra si trasforma in lezione e in esercizio di appartenenza.
In questo disegno Putin si rifà a un’immagine illusoria dell’Unione Sovietica, una nostalgia costruita più sul mito che sulla memoria, visto che il fine non è certo il comunismo, come appunta lo stesso Talankin. Nei vecchi filmati celebrativi di quel periodo, come quelli rimontati in Revue (2008) dal regista ucraino Sergei Loznitsa, si può osservare una fede autentica del popolo sovietico, soprattutto nelle scuole quando i bambini recitavano le poesie su Lenin, un’adesione che passa anche dagli occhi luminosi e dai corpi entusiasti, per quanto oggi se ne riconosca la funzione di culto della personalità. I bambini di Putin invece non credono nemmeno alla propaganda che recitano, si limitano a leggere le battute da un pezzetto di carta, come in una recita mal provata, ed è proprio questa distanza tra le parole e lo sconcerto dei loro volti a rendere lo spettacolo insieme ridicolo e disturbante.
Talankin continua a filmare anche quando il lavoro lo obbliga a montare video celebrativi, sfilate e commemorazioni, e in un momento cruciale confessa di sentirsi parte della macchina propagandistica.
Quando è costretto a lasciare la Russia, l’esilio assume la forma di un paradosso doloroso, perché l’unico modo per non tradire il proprio Paese sembra diventare l’uscita di scena. Eppure dentro questa rassegnazione continua a covare un gesto di libertà: girare il film significa rivendicare la verità, sottrarsi al silenzio e combattere la propaganda.
La regia di David Borenstein accompagna Talankin con pudore e fermezza, tiene lo sguardo vicino al suo e non impone un giudizio, costruisce piuttosto uno spazio intimo in cui le emozioni si esprimono liberamente. Il passaggio al Sundance 2025 ha dato visibilità a questa piccola resistenza nata tra archivi scolastici e hard disk clandestini, lasciando in eredità una domanda che pesa più di qualsiasi risposta: che cosa significa educare quando il potere spinge verso una militarizzazione dell’infanzia?

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