Non può sorprendere che il nome Yannick Bellon venga citato da Céline Sciamma tra le sue registe preferite in una recente intervista contenuta nel libro "Architetture del desiderio" (a cura di Federica Fabbiani e Chiara Zanini, pubblicato nel 2021). Yannick Bellon è stata una montatrice, regista e sceneggiatrice francese che attraverso i suoi film ha esplorato diverse problematiche della società patriarcale in particolare quelle legale alle donne, offrendo delle importanti intuizioni femministe. Inizialmente dedicò la sua attività ai documentari e solo nel 1972, quando fondò la sua società di produzione Les Films de l'Équinoxe, diresse il suo primo lungometraggio di finzione "Quelque part quelqu'un", ispirato alla sua relazione con il poeta Henry Magnan. Ma il suo film più noto e che ha fatto più scalpore è "L'amour violé" girato nel 1978 e ambientato a Grenoble. Racconta di Nicole, una giovane infermiera (interpretata da Nathalie Nell) che durante un'uscita in bicicletta nel pomeriggio, viene aggredita verbalmente da due uomini in un furgone e successivamente rapita per essere brutalmente stuprata tutta la notte dal loro gruppo di amici. Un film crudo e sconvolgente non solo per la scena citata, ma per la rappresentazione della violenza, mai gratuita, autentica, rigorosa, dettagliata, in netto contrasto con l'apparente tranquillità della cittadina e dei bellissimi paesaggi che fanno da sfondo. Ben presto scopriremo che gli uomini responsabili del'efferato gesto sono operai, lavoratori, commercianti, comuni cittadini con mogli e figli, senza precedenti penali. La Bellon arriva dritto al punto: lo stupro non può essere visto solo nella sua occasionalità e singolarità, ma anche nella sua ritualità. I quattro uomini avevano un posto riservato, erano perfettamente lucidi durante l'atto e non dimostravano alcuna empatia per la vittima. E a quest'ultimo proposito, la società non ne dimostrerà altrettanto: ridimensionerà l'evento, nel peggiore dei casi lo naturalizzerà (come fa la madre) o rifiuterà del tutto (come inizialmente farà il suo fidanzato), scoraggiando Nicole a denunciare i suoi abusanti, rivelando così il disegno più grande di un ingranaggio perverso radicato nella stessa società. Ma la protagonista nonostante subisca questi gravi risvolti psicologici e sociali, lotterà per la giustizia finendo per rappresentare la liberazione di tutte le donne. «Se attraverso le mie opere concludi che l'ingiustizia mi ripugna e la dignità mi sembra la virtù più importante, tanto meglio» dichiara Yannick Bellon. La regia si fa promotrice di questa lotta senza mai risultare pedagogica, persino la scena dei disegni dei bambini dell'asilo - chiara eredità dell'approccio documentaristico della Bellon - si incastra come un inquietate interrogativo sulla passività del ruolo della donna nella società. Pochi i primi piani, ma di rara intensità, come lo scambio finale di sguardi tra Nicole e il suo fidanzato. Una pietra miliare del cinema femminista, mi permetto di aggiungere, anche degna di essere accanto alle opere migliori di Chantal Akerman.
Yannick Bellon intende scioccare, risvegliare senza tante cerimonie le coscienze assopite, provocare l'opinione pubblica e, una volta dato l'allarme, esaminare metodicamente le parti di un dossier che vuole approfondire. L'amour violé sarà un film utile, capace di accendere subito il dibattito, un'arma nella lotta per l'indipendenza femminile e contro i valori sessisti della società in cui viviamo.
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