giovedì 26 gennaio 2023

Swastika (1973)

«Se Hitler è disumanizzato e mostrato solo come un diavolo, qualsiasi futuro Hitler potrebbe non essere riconosciuto, semplicemente perché è un essere umano». Queste parole del regista appaiono nei titoli di testa come un'avvertimento: tutto ciò che vedremo non è una banalizzazione o una glorificazione del nazismo, ma piuttosto una riflessione sulla società tedesca e il suo rapporto con esso. Susseguiranno immagini di cinegiornali, documentari, film di propaganda e persino filmati amatoriali girati da Eva Braun, compagna di Hitler, che mostrano la loro tranquilla vita famigliare tra feste e salotti. Il materiale è finemente montato senza un narratore lasciando che siano le sole immagini a parlare, e con l'aggiunta di effetti sonori e una colonna sonora che accompagnano coerentemente la vitalità e la speranza di una Germania che stava emergendo dalla Grande Depressione e che riponeva ciecamente tutta la sua fiducia al nuovo baffuto leader. Durante questa fermentazione culturale, già le immagini delle masse di persone entusiaste che sbandierano solo e soltanto svastiche per tutte le ricorrenze (persino al posto della stella su un albero di Natale) inquietano per la loro imponente uniformità, uno spettacolo così grottesco e surreale che si fa davvero fatica a credere che dietro quelle masse ci siano ancora individui. Lo stesso Hitler sembra essere in netto contrasto con tutto ciò, lo guardiamo quasi sempre più isolato a vivere la sua vita mondana. Ben presto, le immagini famigliari e giocose di Hitler con i bambini, si alternano alle violenze del suo popolo perpetrate ad altri bambini che non godono dello stesso privilegio sociale, poi si susseguono quelle dei primi negozi ebrei attaccati dai nazisti e infine, come una cesoia nel montaggio, veniamo catapultati tra i resti delle masse di cadaveri vittime dell'Olocausto. L'effetto è straniante e terrificante. Philippe Mora, a soli 23 anni, produce uno dei film più controversi e potenti sul nazismo, sollevando questioni importanti sul problema della manipolazione delle immagini e della propaganda e, non meno, sulla natura del male. Una forma di documentario che sicuramente ha fatto da lezione al recente lavoro del regista ucraino Sergei Loznitsa. Alla sua anteprima del Festival di Cannes del 1973 il documentario non fu capito e suscitò indignazione da gran parte del pubblico e della comunità ebraica che lo etichettò come filo-nazista, qualcuno lanciò persino una sedia contro lo schermo durante la proiezione! Dopo le polemiche il film fu proibito in diversi Paesi e soltanto nel 2010 è stato liberato dal divieto in Germania.


«Mostrando la vita quotidiana dei tedeschi e di Hitler - le feste di famiglia, gli eventi pubblici, le semplici routine - questo film ha l'effetto cumulativo di rivelare una società che è impazzita. [...] È una lezione su come l'immoralità possa assumere le sembianze della vita quotidiana. Vedi cose come piccole svastiche appese agli alberi di Natale e tutti che si godono le vacanze, e sei quasi sbalordito dal filmato. [... ] Ci sono alcuni momenti davvero incredibili, come quando Hitler accarezza il suo cane e il cane rabbrividisce. . . O quando vedi questi strani aggeggi, queste ruote con la svastica che la gente dava fuoco e rotolava giù per le colline come parte delle celebrazioni. [... ] Chiude tutto con le scene delle vittime (dei campi di concentramento) che vengono demolite con i bulldozer in tombe aperte. Questi due o tre momenti orribili sono il suo ultimo commento sulla società tedesca.»
(Programmatore cinematografico per gli Archivi Nazionali di Washington)

Il film può essere visionato in streaming su Youtube.

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