mercoledì 20 maggio 2020

Ritratto della giovane in fiamme (2019)

Céline Sciamma al suo quarto lungometraggio da regista, gira per la prima volta un film in costume e con donne adulte come protagoniste. Il film è ambientato nella fine del XVIII secolo, racconta la storia di una pittrice di nome Marianne (interpretata da Noémie Merlant) che, durante una sua lezione di pittura in Francia, viene interrogata da una delle sue allieve su un quadro che ha scoperto e nascosto nella stanza. Marianne sgomentata, le dirà che si tratta di un suo quadro e che si intitola «Ritratto della giovane in fiamme», in quel momento la donna avrà un lungo flashback sulla storia di quel quadro che è anche quella dell'intero film. Veniamo trasportati in Gran Bretagna, molti anni prima, dove la pittrice viene invitata da una famiglia nobile a ritrarre il ritratto della loro figlia Héloïse (interpretata da Adèle Haenel). Scopriremo che la giovane ragazza è uscita dal convento dopo che la sorella è morta e che ora è promessa sposa a un nobile italiano. Ma la giovane Héloïse ha sempre rifiutato di farsi ritrarre perché si oppone al matrimonio combinato, perciò la madre la tiene segregata in casa e chiede alla pittrice di fingersi una compagna di passeggiate per poterla osservare e dipingerla in segreto. Sciamma dirige la storia con estremo rigore e pulizia estetica, le scenografie sono scarne e le inquadrature si concentrano sui dettagli e sugli sguardi delle protagoniste. Il "segreto" di Marianne creerà una costante tensione tra le due donne, Héloïse si rivelerà una giovane sospettosa, impavida ma profondamente intelligente, che colpirà l'animo della pittrice. È interessante il discorso decostruttivo che mette in atto Sciamma sull'immaginario della donna sotto molteplici e diversi piani, primo fra tutti sul piano artistico: la musa qui non è soltanto lo strumento passivo che il pittore si serve per realizzare il suo immaginario, al contrario Héloïse, in una delle sequenze più significative del film, invita la pittrice a guardare dal suo punto di vista, per farle scoprire quante cose ha imparato vedendola dipingere attraverso il linguaggio del suo corpo, del suo animo, dei suoi gesti, delle sue emozioni. Anche lo sguardo da pittrice di Marianne rivela aspetti che la storia dell'arte ha letteralmente "cancellato", la sequenza dove rappresenta la scena dell'aborto della domestica su tela è emblematica, perché, come sottolinea la regista, va a dar vita a quell'immagine "mancante" che fa parte dei corpi, dei desideri e dell'intimità dell'essere donna. Colpisce anche la scena dell'aborto non tanto per la brutalità in sé ma per la naturalezza con la quale viene rappresentata: durante l'atto ci sono dei bambini che osservano e consolano la giovane domestica mentre l'abortista estrae il suo feto. Sciamma dirige il rapporto tra le donne in maniera assolutamente orizzontale ed egualitaria, le inquadrature divengono una sorta di gioco di specchi, non prive di "distorsioni" e conflitti, ma sempre sulla stessa lunghezza d'onda, lo status sociale dei personaggi non influenza la natura dei loro rapporti, è piuttosto l'immagine dell'uomo - paradossalmente quasi assente per tutto il film - che influisce pesantemente sul destino e le scelte delle personagge. Sul piano della narrazione, vi è anche una re-interpretazione del mito di Orfeo ed Euridice, infatti Héloïse leggerà la famosa opera greca durante una serata passata con Marianne a la domestica, e tutte e tre si interrogheranno sul crudele finale dell'opera, sollevando inediti punti di vista. Colpisce quello di Héloïse che suggerisce che Euridice avrebbe detto al suo amato «Girati!» prima che quest'ultimo finisse il percorso per riportarla in vita. Visione che in qualche modo si rivelerà profetica per il grande amore che sboccerà tra Héloïse e Marianne. L'amore appassionante e clandestino tra le due crescerà e si evolverà esattamente come lo sviluppo del secondo ritratto che Marianne dipingerà dopo aver rivelato la verità ad Héloïse. Sarà un ritratto vero, frutto e simbolo del loro legame sentimentale che porteranno dentro i loro cuori per il resto della loro vita, malgrado l'inevitabile distacco. Il film ha il singolare pregio di rappresentare con genuinità una storia complessa e intellettualmente densa. Si arriva alla conclusione con un'inaspettata sorpresa, Céline Sciamma non lontana dalle intenzioni formali di Jessica Hausner in Lourdes, ci conduce a un finale di rara intensità, costruito in funzione del suo complesso filmico: in un futuro, Marianne scorge in lontananza la presenza di Héloïse che è seduta nel palchetto di un teatro, durante l'esibizione de "Le Quattro Stagioni" di Antonio Vivaldi, di cui però non vedremo mai l'orchestra. Héloïse non nota la presenza della sua amata sul palchetto opposto, così il "Presto" dell'Estate composto da Antonio Vivaldi (quello nel film è la versione condotta da Adrian Chandler), accompagna con parossismo la carrellata di un lungo pianosequenza che si avvicina al volto invecchiato di Héloïse, in preda a un'emozione incontenibile. La donna è folgorata, consumata, bruciata da quella musica "pagana" che fu proprio la sua amata a fargliela conoscere in quegli anni passati insieme; è un'epifania cinematografica che testimonia la resistenza dell'amore alle strutture patriarcali. Adèle Haenel ci dona una performance devastante, la migliore della sua carriera e si avverte un coinvolgimento personale nel dolore e nella passione che esprime nella sua Héloïse. Forse perché ha avuto in passato una relazione sentimentale molto importante con la regista? La certezza è che Céline Sciamma abbia firmato il suo capolavoro.


Il film è disponibile per l'acquisto in Blu-Ray su questo link.

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