domenica 3 ottobre 2010

Il Nastro Bianco (2009)

Michael Haneke ci trasporta nel microcosmo di un villaggio tedesco alla vigilia la prima guerra mondiale. Uno spazio dominato da due poteri oppressivi: quello religioso (fondamentalista protestante) e quello del sistema politico (feudalesimo). Il racconto viene scandito per parte da una voce narrante fuori campo che è quella del Maestro che arriva nel villaggio, e dall'altra dall'obiettivo cinematografico del regista che fruga dentro le abitazioni delle case. Così siamo testimoni delle azioni quotidiane dell'intero villaggio: un Pastore che educa i suoi figli in maniera fondamentalista legandoli un nastro bianco ogni volta che questi non seguono la "giusta" condotta (in modo da ricordarli di custodire ossessivamente la loro innocenza), la relazione sadomasochista e clandestina tra una bambinaia e un dottore vedovo con due figli, il rapporto difficile tra il barone e sua moglie, e sopratutto il gelido silenzio di tutti i figli di queste famiglie di fronte alle loro azioni.
Saranno degli strani episodi di violenza a rompere quel silenzio. Alcuni episodi sembreranno essere incidenti del tutto casuali mentre altri no. Più la narrazione corale si schiude più quegli incidenti sembreranno avere il carattere di una vera punizione.
La violenza raccontata dal cinema di Haneke ha un'impatto sempre molto forte, perché viene mostrata con la spietatezza documentaristica di un entomologo: la fisiologia, la morfologia e il comportamentismo della comunità è resa tale da mostrarne tutte le sue caratteristiche anche quelle più oscure a prima vista.  Anche se non ci è dato vedere il fautore degli atti criminali, ci è possibile vedere i "moti sociali" che gli alimentano, ma badate bene che non c'è nessuna giustificazione di sorta psicologica o di natura morale a questi atti, il film con equilibrio perfetto, si limita rivelare una coscienza collettiva in perenne conflitto con quella individuale. Interessante è la sequenza del lago in cui i due bambini proletari rubano lo zufolo al figlio del barone, qui la violenza assume esattamente la caratteristica di una scarica collettiva irrazionale guidata probabilmente dalla frustrazione del divario di classe. La complicità di quei bambini che tenta di sopprimere un solo individuo disturba agli occhi dello spettatore.
Ed è una complicità che si rivelerà essere sempre più diffusa tra i più giovani del villaggio, basti pensare alla sequenza iniziale del film in cui alcune bambine uscite da scuola si dirigono insieme formando un blocco attorno a Clara (la figlia più grande del Pastore). Questo atteggiamento sarà sempre più evidente con il susseguirsi dei crimini. Karli (il figlio ritardato della bambinaia, che ha avuto clandestinamente con il dottore) verrà ritrovato privato dei suoi occhi con un biglietto che sottolinea che l'atto barbaro è una "punizione divina" e mentre viene portato dentro casa dalla madre, c'è una sequenza in cui Clara insieme ai bambini del villaggio vengono sorpresi dal Maestro mentre spiano attraverso la finestra dell'abitazione. Sono lì per sapere le condizioni di Karli oppure perché vogliono capire se Karli dirà qualcosa?
Haneke è un maestro dell'inquietudine, perché come spesso viene detto dai suoi stessi collaboratori è capace di scaturire attraverso la sua inconfondibile estetica la cosiddetta "nota stonata", una sensazione di disagio che si manifesta anche in una sequenza perfettamente semplice e ordinaria. Haneke non solo rappresenta con perfetta coerenza la realtà, ma la trascende attraverso l'energia del montaggio, l'uso naturale del sonoro, della recitazione minimalista e di una fotografia quanto mai simbolica: l'uso del b/n è perfetto, la luce abbagliante dei bianchi sembra pulizia estetica, ma scatena delle ombre che sottolineano l'ambiguità e la sofferenza nei lineamenti appassiti dei bambini. Non è da trascurare il rigore formale della composizione degli elementi nelle inquadrature, che amplifica la plasticità delle emozioni dei personaggi in modo che ogni loro reazione ci appare scandire qualcosa di profondamente importante ai fini della storia. C'è anche un saggio uso dei pianosequenza e dei fuori campo per descrivere la violenza fisica, che come accade nel cinema di Robert Bresson, è svuotata del suo consumo sfacciatamente visivo, restituendone una sua dignità, sfruttando l'immaginario dello spettatore. L'assenza di un accompagnamento musicale dà spazio ai respiri, ai lamenti e ai suoni inquieti delle anime dei personaggi.


Devastante, probabilmente una delle più riuscite, è la sequenza in cui  Martin, il figlio del Pastore, viene accusato di onanismo, durante il dialogo l'oggetto della discussione non solo non viene enunciato per la vergogna, ma viene sostituito e amplificato dalla nozione religiosa del "sacro" (al membro maschile viene assegnata l'enunciazione «là dove la legge divina ha eretto una sacra barriera»). I luoghi oscuri della paura e del senso di colpa vengono innescati e toccati, così che le lacrime del bambino esplodono, manifestando la carica di violenza subita. Dove non c'è libertà sessuale si annida la perversione e la sofferenza. Non è un caso se, immediatamente dopo la sequenza delle accuse del Pastore a suo figlio, ci giunge la sequenza che mostra la bambinaia e il dottore praticare del sesso anale, squallidamente, come un tentativo vano di ricostruire il loro rapporto. Un rapporto fondato sul dominio e sulla sottomissione attraverso il piacere sessuale. I rapporti sadomasochistici sembrano caratterizzare profondamente la comunità, c'è un'altra sequenza sul tema che è particolarmente efficace, si tratta di quella in cui il piccolo figlio del dottore sorprende suo padre e sua sorella nello studio medico nel pieno della notte. Haneke organizza la composizione nel campo dell'inquadratura in maniera tale da suggerirne un senso di intimità interrotta: posiziona il dottore di spalle al figlio accanto alla figlia seduta sul lettino, lasciandolo in quella posizione per tutta la durata della sequenza senza mai farlo voltare, il dottore non guarderà mai direttamente negli occhi suo figlio che implora alla sorella di accompagnarlo a letto perché ha fatto un incubo. Le parole della sorella per confortarlo appaiono vaghe, imbarazzanti e falsamente consolatorie. Anche se nell'inquadratura non c'è nessuna prova diretta, la sensazione che poco prima si stesse consumando un rapporto sessuale rimane rimane serpeggiante. Ed è attraverso questa ambiguità che dentro la mente dello spettatore la scena comincia a costruirsi lentamente: il padre rimane girato per tutta la durata della scena perché ha la cerniera dei pantaloni aperta? Il cinema di Haneke è una "visione negata": risveglia l'intuizione e porta alla coscienza associazioni disturbanti, creando una sorta di suspance attraverso l'uso del linguaggio cinematografico.
Il finale del film è alquanto spiazzante, anche quando le prove sembreranno più evidenti e la teoria sulla colpevolezza dei bambini formulata dal Maestro verrà considerata, l'indagine verrà immediatamente fermata dal moralismo del Pastore che non perderà tempo a minacciarlo. Il fondamentalismo non può mettere in discussione nessuno dei suoi valori e metodi educativi. Ma la negazione del Pastore di fronte alla manifestazione del male, non fa altro che affermarlo nella maniera più prepotente. E se pensiamo che quei bambini saranno i futuri adulti che indosseranno le vesti dell'SS con in mano la tessera del partito nazista tedesco e che accoglieranno l'adesione al "cristianesimo positivo", un lungo brivido sulla schiena ci salirà...
Il film in questo senso è spietato: i valori del fondamentalismo religioso riversati da generazioni in generazioni, predispongono alla mistica del nazi-fascismo. 
Haneke chiude il film piazzando la macchina da presa sull'altare della Chiesa del Pastore, così che l'occhio dello spettatore è in corrispondenza con essa, dissolvendosi lentamente nell'oscurità. Come la presenza buia di Dio di fronte all'umanità.


Il nastro bianco è un film che mortifica e disturba come pochi e lo fa in maniera silenziosa rinunciando a una violenza sfacciatamente visiva. Questa volta Haneke tratta con estrema delicatezza e coerenza il suo materiale e raggiunge il culmine della sua poetica già tracciato nella trilogia della glaciazione. Tra il rigore estetico di Dreyer e il fuori campo di Bresson, completa la sua ricerca e firma il suo capolavoro.

Il film è disponibile in Italia sia in DVD che in BLU-RAY.

2 commenti:

  1. Mmm... il secondo sarà Lourdes, ma il terzo? :D O ho un buco clamoroso io, oppure è un film di cui non si è parlato nei nostri blog :D

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  2. Ci sarà sicuramente Lourdes, sotto una chiave definitiva, ci ho pensato a lungo.
    Mentre il terzo è una cosa nuova ovviamente, un film parecchio interessante, mi sa che non l'hai ancora visto.

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